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Con Pepper in corsia, ai bimbi passa la paura

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  • Linea strategica Inclusione sociale
  • Tempo di lettura 6 minuti

Grazie al progetto “Baby Avatar” della Fondazione Salus Pueri, al quale abbiamo dato il nostro sostegno, nello staff di Pediatria a Padova c’è uno specialista in più: un simpatico robot programmato per migliorare la qualità della vita dei bambini ricoverati.

Sa parlare, cantare, ridere e scherzare. Se gli accarezzi la testa, ti dice gongolando: «Wooow, mi sento come una gatto!». Se oggi magari compi gli anni, ti canta “Happy Birthday” con accompagnamento di chitarra. Se sei triste, ti fa divertire mimando la scena di un automobilista distratto con tanto di «Ohi, ohi, che botta!». Ma soprattutto compie qualcosa di speciale per i bambini ricoverati in ospedale in attesa di un intervento o nel corso di una terapia: distrarli dalla paura, per prevenire e ridurre stati di ansia e dolore.

È un “social robot”, e rappresenta l’ultima frontiera in fatto di intelligenza artificiale.
Non staremo qui a parlarvi di sensori, telecamere, sonar, laser, bumper e altri dettagli tecnici. Ma di una differenza, sì: contrariamente ai robot industriali, i social robot sono in grado di relazionarsi, conversare, muoversi autonomamente, comprendere e reagire alle emozioni. Perché ci sono ancora più utili di quelli industriali? Perché sono per l’appunto robot capaci di cogliere sentimenti, sensazioni e stati d’animo di chi hanno vicino.

I benefici della robotica in ambito clinico-pediatrico

Bianco, snodabile, alto 120 centimetri, pesa 30 kg, con un’autonomia di 10 ore, il robot empatico in questione si chiama Pepper, e da pochi mesi si muove tra corridoi e stanze della Clinica Pediatrica dell’ospedale di Padova dove lo incontriamo durante una delle sue giornate di lavoro. Anche se non indossa il camice bianco, lo riconosciamo subito…

È frutto del progetto “Baby Avatar” che abbiamo contribuito a sostenere, promosso dalla Fondazione Salus Pueri di Padova.
«Un progetto innovativo, che permette di offrire un servizio che hanno pochissimi ospedali in Italia» ci dice Michele Veronesi dell’Ufficio Comunicazione e Raccolta Fondi di questa Fondazione che dal 1992 affianca la Clinica Pediatrica con lo scopo di creare un ospedale a misura di bambino e della sua famiglia.

Oltre all’androide dagli occhi che si illuminano di blu e dal nasino all’insù, insieme allo staff che ne ha reso possibile lo sviluppo e l’utilizzo, all’appuntamento si presenta anche Sanbot, l’altro robottino che fa compagnia ai piccoli degenti del reparto. Ma andiamo con ordine.

«Prima di utilizzare Pepper quotidianamente con i bambini» ci dice Roberto Mancin, responsabile dello sviluppo dei sistemi e tecnologie informatiche innovative della Clinica Pediatrica «abbiamo dovuto conoscerlo. Perché è come un bambino: non è che la cicogna te lo porta, apre il fagotto e lui improvvisamente si mette a fare tutto. Va educato, cresciuto, programmato. Bisogna imparare a conoscerlo, e ogni giorno scopri di lui qualcosa di nuovo: un movimento, un gesto, un’interazione in più che può avere con i bambini».

La sua fisionomia umana, la testa relativamente grande rispetto al corpo, le forme arrotondate e i grandi occhioni da “cucciolo”: già queste caratteristiche hanno la funzione di favorire sentimenti di simpatia. Ma Pepper fa ben di più.

«Lo utilizziamo come tecnica non farmacologica per la gestione dell’ansia e della paura nei bambini che devono sottoporsi a una procedura invasiva e dolorosa» continua l’ingegnere, che di Pepper si sente un po’ il papà. «Prima della sedazione, Pepper distrae il bambino cantando, giocando, facendo delle attività diversificate a seconda delle abilità cognitive del bambino che ha vicino, grazie anche agli operatori competenti e preparati che lo guidano e lo gestiscono».

Pepper, infatti, è teleguidato da un “pilota wireless” che tramite app gli fa compiere movimenti e interazioni coerenti con le richieste dei piccoli interlocutori. Ai quali il “supereroe” offre anche la possibilità di utilizzare il tablet che ha ben in vista e che permette loro di vedere più immagini, ad esempio le fotografie dei propri genitori e amichetti del cuore.

«Però abbiamo visto che i bimbi che si trovano qui considerano Pepper proprio come un altro bambino» continua Mancin. «Preferiscono svolgere insieme a lui piccole attività, le stesse che adotterebbero in presenza di un loro coetaneo. Insomma, non lo trattano come un robot, ma come un amico a tutti gli effetti».

Che benefici traggono i piccoli degenti dal giocare con Pepper? «Dai primi dati sperimentali abbiamo visto che l’ansia può diminuire anche più del 50%» sottolinea l’informatico pediatrico. «Il che significa che si possono usare meno farmaci per sedare il bambino prima di un esame o un intervento, con un conseguente risveglio più veloce e meno effetti collaterali, oltre che un risparmio sull’acquisto di medicinali spesso costosi».

“Pepper è parte del nostro team”

L’ingegnere che ha programmato Pepper, va da sé, non può che essere entusiasta della sua “creatura”. Ma il personale medico e specialistico che parere dà dell’utilizzo dei robot da compagnia nel loro reparto? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Caterina Agosto, pediatra intensivista del Servizio di Terapia del Dolore e Cure palliative pediatriche afferente alla stessa Clinica.

Prima di risponderci, ci introduce nella non facile dimensione del suo mondo professionale: «Quando un bambino sta male, il suo percorso di malattia richiede delle procedure invasive e dolorose. In alcune situazioni, come nelle malattie oncologiche, le cure possono protrarsi per anni e quindi queste procedure diventano una scadenza programmata, spesso molto temuta dai bambini. Il nostro servizio di controllo del dolore si pone questo problema e cerca di profilassarlo in modo preventivo».

«La nostra modalità di contenimento dell’ansia e della paura» prosegue la dottoressa «prevede tecniche non solo farmacologiche, che sono fondamentali, ma anche non farmacologiche, soprattutto nel momento di primo approccio. La semplice distrazione come evento iniziale, in cui Pepper è un vero specialista, si è dimostrata essere efficace per ridurre queste due componenti».

Poter contare anche sulla presenza del simpatico robot nella fase di ingresso alla stanza delle procedure, dove vengono eseguite per esempio biopsie e gastroscopie, è dunque un’opportunità speciale sia per i bambini che per l’equipe medica. Tanto che è la pediatra stessa a confermarci, con toni via via più scherzosi, che «Pepper è parte del nostro team. È delicato nelle sue domande, spiritoso nelle risposte, e si è inserito molto bene tra noi medici. È un ottimo collega: collaborativo, positivo, non si lamenta mai… un lavoratore instancabile».

Dagli esordi della robot therapy al Robot Operating System

Pepper non è stato il primo umanoide ad entrare in Clinica Pediatrica. Prima di lui è arrivato Sanbot, sempre con le stesse finalità: dare assistenza emotiva ai piccoli pazienti.
Alto 90 cm e dalle braccia pinnate, questo robot ha il suo alter-ego in Andrea Sattanino, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva nel reparto di Oncoematologia pediatrica.

Andrea conosce a fondo tutte le funzionalità di Sanbot e gestisce l’app che lo “pilota” con mani da pianista. Ma più che sull’Artificial Intelligence, come specifica lui stesso, il suo interesse principale è focalizzato sul benessere dei bambini. Che, grazie al suo ruolo sanitario, può accompagnare fin nella stanza preposta alle procedure di intervento e distrarli con i robot in più circostanze, per esempio durante la fase di addormentamento con anestesia.

Se il terapista conferma a sua volta i benefici che si stanno riscontrando nei bambini grazie alla robot therapy, chi sta utilizzando Pepper per degli studi ancor più evoluti è Gloria Beraldo, dottoranda del Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università di Padova.

La giovane ricercatrice ha da poco proposto all’International Conference on Robotics and Automation (ICRA) di Brisbane, in Australia, il progetto di robotica nato dalla sua tesi magistrale “Brain-Computer Interface meets ROS: A robotic approach to mentally drive telepresence robot”.

Con la supervisione del professor Emanuele Menegatti, docente di Ingegneria Informatica all’Università di Padova, sta lavorando per rendere più facile il controllo di un robot, acquisendo e decodificando i segnali provenienti dal cervello di una persona tramite sistemi di Brain Computer Interface.

Tra le applicazioni possibili della sua ricerca d’avanguardia, Gloria ne sottolinea una: «Controllare un robot utilizzando i segnali del cervello umano potrebbe migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono di gravi disabilità fisiche o di persone anziane che non possono più muoversi». I robot, in questo caso, diventerebbero dei veri e propri “corpi di servizio”, in grado di compiere quel che una persona non è più in grado di svolgere autonomamente.

Che si tratti di piccoli pazienti ricoverati o di adulti in situazioni di gravi difficoltà motorie, una cosa pare ormai essere certa: queste creature che fino a pochi anni fa potevamo solo leggere nelle pagine di Isaac Asimov o vedere nelle saghe di Star Wars, sono destinate ad entrare sempre più nelle nostre vite. Così simili a noi, anche se per il momento ancora molto diversi, stimolando il nostro senso di meraviglia hanno sicuramente già un pregio: farci pensare al futuro con ottimismo.