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I robot ci ruberanno il lavoro?

A Segnavie Annalisa Magone, presidente di Torino Nord Ovest – Centro di ricerca su lavoro, impresa e innovazione – ci ha raccontato come si trasformerà il lavoro nell’industria che cambia. Sfatando alcuni miti e dimostrando che il futuro è già qui. Come stare nel cambiamento? Evitando di stare fermi a guardarlo.

Il fronte del lavoro è uno degli ambiti che vivrà i cambiamenti più profondi con la crescente digitalizzazione. I robot prenderanno il nostro posto? Lo abbiamo chiesto ad Annalisa Magone, presidente di Torino Nord Ovest – Centro di ricerca su lavoro, impresa e innovazione.

L’ultimo incontro di Segnavie 2019, il ciclo di incontri ideato e realizzato dalla nostra Fondazione, ha analizzato proprio il cambiamento che è in corso nel mondo delle aziende. Un mondo scandito da esperienze nuove, ma soprattutto da persone che stanno cambiando il loro modo di essere e di fare impresa.

Il futuro è già alle nostre spalle?

Avevamo già affrontato il ruolo della digitalizzazione nella rivoluzione che sta investendo la salute, con l’imprenditore digitale Roberto Ascione. Con Annalisa Magone abbiano guardato sempre al tema dell’innovazione digitale, indagato però da un punto di vista differente: il lavoro.

La virtualizzazione delle fabbriche non è fantascienza ma realtà. Tuttavia esistono alcuni pregiudizi radicati che devono essere sfatati:

  • I robot non ci ruberanno il lavoro, almeno non nell’immediato, perché la robotica deve fare ancora molta strada. Insegnare a un robot attività per noi naturali richiede anni di tempo.
  • Non esiste una biforcazione incolmabile tra lavoratori iper-qualificati o laureati con competenze smart e lavoratori con competenze più “soft”.
  • Il futuro, come spesso si pensa, non appartiene solo agli ingegneri. La formazione e le competenze richieste dall’industria 4.0 sono diversificate ed eterogenee. Un laureato in materie umanistiche può rappresentare una risorsa preziosa anche in ambiti lontani dal suo campo di studio.

Ma quanto lavoro si perderà? È vero che si svuoterà la manifattura, il luogo in cui si lavora con le mani, ma non è la tecnologia a determinare questo cambiamento, che è parte di un processo iniziato decenni fa.

La sostituzione dell’essere umano con una tecnologia non è un processo lineare. Dentro questa trasformazione in atto le cose sono complesse e la verità è che c’è posto per tutti.

L’industria 4.0 infatti non ha a che fare soltanto con la cibernetica o i Google Glass. Anche in uno strumento inusuale come un girarrosto industriale può esserci un algoritmo di intelligenza artificiale piuttosto delicato e un laureato in Scienze Politiche può lavorare in una grande industria manufatturiera, facendo tesoro di ciò che ha studiato ed entrando a pieno titolo nel processo di innovazione.

Come ci ha raccontato Annalisa Magone, la svolta digitale non ha tanto a che vedere con il modo in cui noi produciamo, ma con il modo in cui siamo.

Essere il cambiamento

L’innovazione entra con lentezza nel corpo produttivo. Tuttavia una cosa resta fondamentale: la consapevolezza. Ci troviamo di fronte ad un grande cambiamento dai tratti ambivalenti e l’importante è non essere troppo rilassati o disfattisti nei confronti di questa trasformazione, né animati da una preoccupazione troppo profonda.

Se iniziamo ad agire il cambiamento invece di subirlo, esercitando la resilienza e la flessibilità, potremo proiettarci in un futuro in cui non c’è ancora niente di certo ma del quale sappiamo che nulla resterà come lo conosciamo.

Sono necessarie nuove forme organizzative in grado di apprendere, di fare sperimentazioni collettive, di sbagliare e di correggersi con grande rapidità, di acquisire nuove competenze.

Siamo ciò che facciamo

Questa rivoluzione cambia la nostra percezione del lavoro, vengono messi in discussione il tempo e lo spazio del lavoro che diventa complesso, flessibile, immaginifico molto più di quanto lo sia stato in passato, molto più bisognoso di coinvolgere l’individuo in quanto singolo.

Nel Novecento l’impresa aveva una modalità estrattiva: chiedeva ai suoi dipendenti 8 ore di lavoro in fabbrica e di lasciare fuori i propri problemi. Oggi le cose sono cambiate: viene chiesto coinvolgimento, partecipazione. Il lavoro 4.0 è molto più eterogeneo, intenso e incerto di quello a cui siamo stati abituati.

Non sappiamo con certezza ciò che sarà veramente e nessuno può prevederlo. Sappiamo però che sarà importante gestire la complessità, l’astrazione, il problem solving, saper agire di propria iniziativa. Mettendo in campo le potenzialità e capacità soggettive, necessarie per un arricchimento qualitativo del lavoro. Per fare di più e meglio.

In altre parole, nell’impresa che si fa intelligente ciò che si è conta molto più di ciò che si fa.

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